10 settembre | h 19
La Pelanda – Teatro 2
teatro
1 h
Il canto della caduta prosegue idealmente il discorso iniziato con la Trilogia delle Resistenze femminili e raccoglie un orizzonte di pensiero che continua a tramandarsi nonostante millenni di patriarcato. Il mito di Fanes, infatti, è una antichissima tradizione popolare dei Ladini, una minoranza etnica delle Dolomiti. È un ciclo epico che racconta di un regno pacifico guidato da regine e distrutto dall’inizio di una nuova epoca del dominio e della spada. È il canto nero della caduta nell’orrore della guerra.
Nel saggio Das Reich der Fanes – Eine Tragöedie des Mutterrechts, Kläre French-Wieser sostiene che nell’epos ladino si possono ritrovare tre passaggi importanti dell’umanità:
° Il passaggio dal diritto matrilineare al patriarcato
° Il passaggio da un sistema pacifico a uno belligerante
° Il passaggio dalla cultura totemica (quella dei popoli cacciatori ancora in simbiosi con la natura e che riconoscono nell’animale totem il proprio antenato) alla cultura della miniera e dell’estrazione dalle montagne.
Il mito di Fanes sembra essere il racconto perduto di come eravamo, di quell’alternativa sociale auspicabile per il futuro dell’umanità che viene presentata sempre come un’utopia irrealizzabile. E che invece, forse, è già esistita.
Sulla scena, l’immaginario ancestrale prende vita grazie ai pupazzi e ai corvi meccanici realizzati dalla scenografa Paola Villani. Il processo creativo insieme a Paola e Marco Rogante è durato quasi due anni e si è basato sulla creazione di prototipi che hanno permesso di finalizzare un sistema complesso di leve a cavo, movimentabile dalle mani di un’unica attrice attraverso joystick totalmente meccanici: un progetto artistico che cerca di unire la tradizione del teatro di figura ai principi di animatronica e alla componentistica industriale.
Si segnala la presenza di forti e ripetuti suoni disturbanti e frequenti lampi di luce durante lo spettacolo.